Al Teatro Stabile di Catania “L’uomo dal fiore in bocca – Nella mia carne” di Pirrotta

I «meravigliosi inganni» del Teatro Stabile di Catania, ieri 5 novembre, hanno dato spazio allo spettacolo teatrale “L’uomo dal fiore in bocca” di Luigi Pirandello seguito dall’epilogo di e con Vincenzo Pirrotta “Nella mia carne”.

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L’uomo dal fiore in bocca, al Teatro Stabile di Catania, dal 5 al 17 novembre,  di Luigi Pirandello seguito dall’epilogo di e con Vincenzo Pirrotta Nella mia carne, in coproduzione con il C. T. B. A. di Buenos Aires.

Vincenzo Pirrotta firma anche regia e scene, mentre i costumi sono di Riccardo Cappello. Pirrotta riveste altresì il ruolo del protagonista. Ad affiancarlo in scena è Giuseppe Sangiorgi, attore siciliano di teatro con importanti esperienze cinematografiche (Nuovomondo di Crialese a La mafia uccide solo d’estate di Pif, per non citarne che alcune) e televisive. Affidate al talento di Luca Mauceri, le musiche originali diventano parte integrante della messinscena. Gaetano La Mela cura le luci, Luigi Leone l’audio.

In concomitanza delle rappresentazioni, il foyer del Verga ospiterà la mostra “I Pirandello. La famiglia e l’epoca per immagini” a cura di Sarah Zappulla Muscarà ed Enzo Zappulla.

Pirrotta indaga dunque la modernità della pièce pirandelliana e apre, nella riscrittura drammaturgica, sette finestre su sette vite inventate: proprio quelle che l’uomo dal fiore in bocca avrebbe voluto vivere. Lo spettatore scopre gradualmente un dialogo sulla morte che lentamente consuma un uomo.

Questo testo teatrale, come altre volte in Pirandello, è stato tratto da una novella scritta precedentemente: La morte addosso. Il protagonista della pièce è un uomo malato di tumore (il fiore in bocca) al quale sono rimasti pochi mesi di vita, ritrovandosi così ad indagare sul mistero della vita. La scena si svolge in un caffè notturno vicino alla stazione di un piccolo paesino qualunque, dove il protagonista rimane a conversare tutta la notte con un occasionale avventore che per caso ha perduto l’ultimo treno. Alle banali osservazioni e considerazioni di questo a proposito dei fastidi e della monotonia della vita quotidiana, il protagonista coglie l’occasione per fare una serie di riflessioni sull’esistenza umana e sulla sua fissazione quasi maniacale per certi dettagli apparentemente insignificanti (come, per esempio, il modo di incartare gli oggetti da parte dei ragazzi dei negozi e della disposizione dei mobili delle sale d’aspetto dei dottori) che nascondono il suo desiderio di aggrapparsi con qualunque mezzo alla vita. Comparirà di sfuggita, comparsa senza battute, anche la moglie che lo segue di nascosto suscitando nel protagonista un misto di pietà e di fastidio. La lunga conversazione si conclude con un invito che il malato fa all’avventore che lo ha ascoltato allibito: ” E mi faccia un piacere, domattina, quando arriverà. Mi figuro che il paesello disterà un poco dalla stazione. All’alba, lei può fare la strada a piedi. Il primo cespuglietto d’erba su la proda. Ne conti i fili per me. Quanti fili saranno, tanti giorni ancora io vivrò. Ma lo scelga bello grosso, mi raccomando. Buona notte, caro signore.” 

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