Notevole successo di Cavalleria rusticana al teatro greco di Tindari

Il Coro Lirico Siciliano mette in scena la celebre opera dove le voci della Casolla e di Villari conquistano il pubblico

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La Sicilia, sol a conoscerla meglio, è piena di luoghi meravigliosi: uno di questi è l’antica Tyndaris, ove il non grande ma scenografico teatro greco, s’affaccia sull’azzurro mare dei Thyrrenoi, un tempo predoni delle acque, nello scenario incomparabile della Trinakria ellenica. Ed è proprio nella vetusta cittadina tindaritana (che ci rammenta i corsi universitarj, e le monete studiate durante quel periodo: la cittadina era già  sede del santuario dei Dioscuri, poi sostituito con quello della Vergine Nera, “nigra sunt sed formosa”:..) che si è tenuto la sera del 13 agosto, mentre qualche stella cadeva nel cielo smaltato del blu cobalto, svolgendosi il 63esimo Tindari festival, l’atto unico Cavalleria rusticana, allestito dal Coro Lirico Siciliano nell’ambito del circuito dei “teatri di pietra”, che ha veduto Tosca a Siracusa e continuerà ancora nel teatro tindaritano.

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L’opera di Pietro Mascagni, su libretto di Targioni Tozzetti, conosciutissima e tanto amata dal pubblico di tutto il mondo nei suoi freschi 129 anni di vita, data per la prima volta al Costanzi di Roma nel 1890 con la Bellincioni per protagonista, che ebbe famosi strascichi giudiziari (l’autore della novella, il catanese  Giovanni Verga, non aveva dato il consenso alla riduzione librettistica: fece causa all’editore Sonzogno e la vinse, ottenendo una somma enorme per l’epoca che gli consentì di vivere meglio gli ultimi anni di esistenza), è tornata a Tindari a cura del presidente del Coro Lirico, il Maestro Alberto Maria Antonio Munafò Siragusa, e del direttore del Coro Maestro Francesco Costa, presentando un buon gruppo di cantanti e una scenografia semplice ma di sicuro, tradizionale impatto (il classico balcone siciliano, il carretto, la porta in pietra) che ha fatto da degno sfondo all’opera. Cavalleria è l’opera che con le sue colorità sonore e visive, rappresenta forse più al mondo la Sicilia, sanguigna e passionale, opera di gelosia corna e vendette sull’ “onore”, concetto ampiamente mutato nel XXI secolo: ma che ancora, seppure nell’immaginario psicologico, richiama e appassiona molti spettatori. Le celebri arie “O Lola ch’hai di latti la cammisa”, “Tu qui Santuzza”, “Oh che bel mestiere fare il carrettiere”, sono consegnate alla Storia del bel canto, con le voci di Enrico Caruso, Giuseppe Di Stefano, Maria Callas: ma senza poter fare inutili parallelismi, vero è che basta una sonorità degna e densamente meridionalistica, per riprodurne l’afflato.

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La Cavalleria tindaritana, seppure iniziata con trentacinque minuti di ritardo rispetto all’ora pattuita e considerando la scomodità delle gradinate in legno del pur acusticissimo  -una ridondanza di note da rammentare, per i puristi: infatti a differenza di Siracusa (e si poteva anche lì: i teatri greco-romani nascono per essere uditi, non per i terribili amplificatori!) non vi sono stati microfoni, nè in orchestra nè per i cantanti-   teatro, ha riscosso il favore degli spettatori, parecchi per un proscenio di circa 1800 posti a sedere, decretando il successo della serata.        In particolare la voce del soprano Giovanna Casolla (che ha svolto moltissime volte quel ruolo)  dal vibrato tecnicistico e ben strutturato, ha garantito la resa di una Santuzza perfettamente in linea con la tradizione mascagniana: e se la donna tradita per convenzione è giovane, sarà la sempre fresca voce della Casolla a farla rivivere con ampiezza di note e intenso recitativo.   Così può dirsi del tenore Angelo Villari, perfettamente a suo agio nel ruolo classico di Turiddu: egli sembra davvero adeguato al personaggio, che con tutta evidenza sente “suo” non soltanto per affinità natale (è originario di Messina) ma anche per prestanza vocale e scenica, come già notammo nelle sue esibizioni taorminesi.  Il pubblico lo omaggiò con molti applausi personali, nei sette minuti dei complessivi.

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Giovanna Collica fu una Mamma Lucia all’altezza della situazione, nel ruolo di contralto che si attiene: non così il mezzosoprano Alicja Węgorzewska (Lola) che non brillò per vocalità nè per recitativo; nè il baritono Francesco Baiocchi fu un compar Alfio convincente: certo si sforzò con ogni mezzo a sua disposizione per incidere sul ruolo ed evitò cadute di stile, ma la fisicità vocale del tradizionale Alfio non lo ha aiutato nel sostenerne il pòndo. Il Coro di Francesco Costa si mostrò ben all’altezza della situazione, così l’orchestra diretta dal Maestro Bruno Nicoli, che cercò con grande attenzione di “collegare” i vari elementi (molti a noi noti, provenienti da varie estrazioni, tutti professionisti nel loro settore) e vi riescì in gran parte: bene con gli archi, un po’ meno coi fiati, arrancante a tratti ma nella sostanza più o meno fedele alla partitura mascagniana. Così la regìa di Antoniu Zamfir, con la collaboratrice Anna Aiello, volle mantenere quella struttura tradizionale e ben nota di Cavalleria, che ne ha decretato il successo più che centenario; belli anche i costumi della sartoria Pipi, buona l’organizzazione, pubblico ovviamente d’occasione trattandosi di teatro all’aperto ma più composto e meno sbracato di altri luoghi; presenti tra esso, esponenti dei Rotary clubs e della Legione Garibaldina coordinamento per la Sicilia.  Gli appuntamenti musicali tindaritani continuano anche a settembre, confermando che quello che si vòlle definire circuito dei teatri di pietra, altro non è che un modo, intelligente e gradevole, di riconoscere le ricchezze che il passato sublime ci ha lasciato e, come si fece in un non lontano tempo, riappropriarsene per viverle con attenzione e sentimento.

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