Al Teatro Stabile di Catania meditativo spettacolo “A. semu tutti devoti tutti?”

Terza tappa dal progetto “re-mapping Sicily” di Roberto Zappalà, lo spettacolo è scandito dalle musiche originali (eseguite dal vivo) di Puccio Castrogiovanni (Lautari); i costumi sono di Marella Ferrera e Roberto Zappalà, la drammaturgia di Nello Calabrò e Roberto Zappalà

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In occasione dei 10 anni dal debutto, lo spettacolo ‘A. Semu tutti devoti tutti?’ creazione di Roberto Zappalà, torna in coproduzione con il Teatro Stabile di Catania, con un nuovo allestimento il 6 febbraio del 2019 e sarà in replica fino al 10 febbraio, proprio nei giorni successivi alla festa dedicata a Sant’Agata, patrona della città di Catania. In scena 8 danzatori della Compagnia Zappalà Danza di Scenario Pubblico e i 4 musicisti dei Lautari.

La ‘A.’ sta per Agata, la santa martire a cui furono strappati i seni. A lei Catania dedica ogni anno una festa tra le più importanti del mondo cattolico. Quel giorno la città si riempie di un solo grido martellante, “siamo tutti devoti tutti!”. Nell’aggiungere un punto interrogativo (siamo tutti devoti tutti?), Roberto Zappalà pone delle domande che disturbano e affrontano il non-detto.

Un uomo si percuote violentemente il petto fino a farlo diventare rosso di dolore, segno autopunitivo di espiazione del male attraverso la mortificazione della carne, confessando la propria natura corrotta e peccaminosa e nello stesso tempo mostrandola, esibendola. Fin dall’inizio lo spettacolo del coreografo siciliano Roberto Zappalà, è capace di traslare in formulazioni gestuali dal forte sistema segnico un carico di significati tutti ruotanti intorno al tema della religiosità popolare così come si esprime nella festa di S. Agata.

“A.” semu tutti devoti tutti? è un interrogativo sul significato della festa vissuta dai cittadini come evento totale e totalizzante. Ed ecco spiegato il riferimento all’Aleph di Borges, dall’alfabeto ebraico “zero”, l’inizio, il tutto, la fine, dal quale tutte le cose per emanazione nascono e tendono a ritornare.
Teatro della devozione, del furore, dell’istinto, del delirio dionisiaco, esaltazione mistica, ed eccitazione collettiva, la festa assume il significato di un rituale sacro-magico in cui il clan rielabora il proprio sistema valoriale e interpretativo della realtà, ma essa offre un punto di vista privilegiato per focalizzare i nodi cruciali della società catanese e siciliana in genere, per spiegare le ragioni sociali e antropologiche dei comportamenti umani.
La danza può allora tradurre in simboli le contraddizioni e le incoerenze della vita umana e della storia, scomporre e ricomporre l’eterogeneità dell’esistente, oscillando tra ethos, epos fino al primato dell’eros.

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Non l’iconografia della festa, ma uno sguardo non neutrale che la re-interpreta attraverso pochi ma densi nuclei tematici: la processione, l’essere folla, le commistioni con la mafia. Le continue sovrapposizioni tra sacro e profano, tra kitsch e barocco, tra ultraismo religioso e ultraismo calcistico, tra reliquie di sante e moderne rockstar, tra miti e mistificazioni, sono tutti elementi riconducibili ad una forte riflessione sul senso dell’identità di una comunità che proprio in quella forma rituale o rappresentazione simbolica spettacolarrizzata, celebra il proprio senso di appartenenza (liturgia, letteralmente “azione del popolo”, religione-religere-riunire).
Un magma da cui non emerge nessun individuo, una massa di corpi senza identità che si spingono gli uni contro gli altri e che vivono solo dalla forza che emana dal gruppo: è la rappresentazione della folla brulicante che sciama sotto il fercolo della santa. La processione della santa diventa un corpo totalmente nudo e senza vita di donna preso, rovesciato, fatto scorrere, capovolto e innalzato dai devoti (tutti uomini) in molteplici pose plastiche (tutte iconograficamente riconducibili alla pietà della “passio Christi”) in una possessione erotica del corpo della santa/preda, in un insistere sul martirio, sul sacrificio che si rinnova, sulla sofferenza fisica e corporea. Eppure Zappalà non eccede mai, procede per simboli compiuti, ma mai traboccanti e compiaciuti, ha da dire la sua e la dice con la sua danza, ma senza che il messaggio arrivi a sovrastare un’estetica assoluta, in perfetto equilibrio tra ricerca della verità e sua rappresentazione.
Così anche la scenografia, quinte di reggiseni bianchi che alludono al martirio della santa i cui seni, strappati con tenaglie, e portati in processione, rimandano al simbolo archetipico della femminilità, della Dea Madre, sovrintendente ai riti della nascita e della morte, dalla quale si nasce e alla quale si torna.
A fare da contrasto con il movimento fluido, materico, estatico, uno spietato agonismo investe gli esseri umani,  quando la processione si allontana e smette di esercitare la carica emozionale  che da essa emana, allora la società diventa rabbiosa, accanita, tribale, dominata dall’istinto. I movimenti procedono a scatti, collidono, si spezzano, si urtano, le linee diventano angolose, scheggiate, i devoti si trasformano in vittime e carnefici in un gioco infinito di lotta e sopraffazione.

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Ma poi, alla fine, un tremolio investe la mano quando indossa il guanto della processione, colta da un’emozione contraddittoria, ma sincera, vestendo quel guanto bianco si purifica, si autoassolve, giunge alla catarsi. Allora la  preghiera diventa nome di un boss Dio-lo-sà,  che da vaticinio biblico, si trasforma nel nome del presidente del Circolo di S. Agata, rinviato a giudizio, come si scopre alla fine, per mafia, una sorta di religione rovesciata, indossata come un guanto, che si può togliere al momento opportuno.

Per diventare poi il fan delle moderne dive, quando nello stesso stadio suona Carmen Consoli, moderno mito, nuova diva-dea, quando la parola mito perde la sfera della sacralità, ma mantiene la forza di produrre simboli ed icone depositati nell’immaginario collettivo.

Scheda tecnica

Coreografia e regia: Roberto Zappalà | musica originale (eseguita dal vivo): Puccio Castrogiovanni (Lautari) | altre musiche: Dire Straits, Rosario Miraggio, Gustav Mahler, Burt Bacharach | drammaturgia: Nello Calabrò e Roberto Zappalà | scene e luci: Roberto Zappalà | costumi: Marella Ferrera, Roberto Zappalà | testi: Nello Calabrò | assistente ripetitrice: Ilenia Romano | realizzazione scene e costumi e assistente: Debora Privitera | danzatori, interpreti e collaboratori: Adriano Coletta, Maud de la Purification, Alain El Sakhawi, Roberto Provenzano, Salvatore Romania, Antoine Roux- Briffaud, Fernando Roldan Ferrer, Massimo Trombetta | musicisti: Lautari: Giovanni Allegra (basso), Puccio Castrogiovanni, (corde, marranzani e fisarmonica), Salvo Farruggio (percussioni), Peppe Nicotra (chitarre) | video – regia: Nello Calabrò e Roberto Zappalà | interprete: Carmen Consoli | direttore tecnico: Sammy Torrisi | ingegnere del suono: Gaetano Leonardi | direttore di produzione e tour manager: Maria Inguscio | una co-produzione: Scenario Pubblico/CZD e Teatro Stabile di Catania | in collaborazione con: Festival MilanOltre | la compagnia è sostenuta da: MiBACT e Regione Siciliana Ass.to del Turismo, Sport e Spettacolo

 

 

 

 

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