Cinquantenario del Premio Bellini d’Oro, riconoscimenti a Bruson e Rancatore

Serata all’insegna della nostalgia e del belcanto, quella organizzata dal teatro Bellini di Catania e dalla Società Catanese Amici della Musica, in occasione della cinquantesima edizione del premio “Bellini d’Oro

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Serata all’insegna della nostalgia e del belcanto, quella organizzata dal teatro Bellini di Catania e dalla Società Catanese Amici della Musica, in occasione della cinquantesima edizione del premio “Bellini d’Oro”, assegnato sin dal 1968 alle più brillanti personalità del mondo musicale a livello mondiale. Un premio che ha riconosciuto il valore artistico di vari e illustri cantanti per le melodie di Vincenzo Bellini e che, come le sue note, ha proiettato una bella immagine di Catania nel mondo: di ciò vi è sempre bisogno.

Platea quasi gremita il 9 novembre per la premiazione delle “nozze d’oro” del qualificato premio, presentato dalla collega ed esperta di musica e teatro Caterina Rita Andò e dal musicoloogo professor Giuseppe Montemagno, con l’immancabile presenza di Tony Maugeri, che ideò alla fine degli anni Sessanta il premio. Sul palco presenti anche il direttore artistico del teatro Bellini professor Francesco Nicolosi, insigne pianista e pure lui già premio Bellini d’Oro, e il Sovrintendente dottor Roberto Grossi.  Come non poteva dimenticarsi la figura del recentemente scomparso Angelo Munzone, già Sindaco di Catania (in anni di grande prosperità) e Sovrintendente del Bellini proprio quando nacque il premio, figura mitica per i melomani catanesi che ancora ne ricordano la passione per la lirica.

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Premiati nella edizione 2018 furono il soprano Desiree Rancatore, palermitana che ha calcato i palcoscenici più prestigiosi, dedicando la voce di lirico leggero al repertorio verdiano rossiniano mozartiano e anche a qualche autore particolarmente specifico: fu lei ad aprire la stagione della Scala nel 2004 diretta da Riccardo Muti con “l’Europa riconosciuta”, opera ai suoi tempi celebre dell’illuminato Antonio Salieri, che solo il genio sregolato e lucidamente folle di Wolfgang Amadeus Mozart poté mettere in ombra. Il vertice della fama della Rancatore còllocasi intorno ai trenta anni (questa estate a Taormina, come scrivemmo, non brillò nel Rigoletto) tuttavia merita il riconoscimento premiale per la sua vasta e di successo carriera, che ha esplorato autori anche meno noti del repertorio internazionale.   L’altro premiato è un nome conosciutissimo della lirica, il baritono Renato Bruson, attivo ai massimi livelli della carriera dagli anni Sessanta agli anni Ottanta, in tutto il repertorio verdiano, in gran parte di quello donizettiano e nei Puritani e nella Beatrice di Tenda belliniane, di cui si ascoltarono brani registrati (non potendo chiedersi in questo caso al Maestro ottantaduenne di esibirsi: non tutti sono come Gino Bechi che alla stessa età intonava “la strada nel bosco” in modo mirabile…).  Bruson ha simpaticamente risposto ad alcune domande postegli rammentando che la lirica “è stata un lavoro”, da buon veneto senza grilli per la testa; ha ammonito che si va a teatro “per dimenticare, per svagarsi, non per pensare come usano fare i registi di oggi che obbligano il pubblico a questo, perciò la gente non va più alle opere”: verità da valentissimo Artista che non può essere contraddetta, anche perchè in loco la constatiamo col crollo delle presenze in teatro.

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La Rancatore si è infine profusa in tre celebri brani belliniani, “Malinconia ninfa gentile”, “Oh quante volte” dai Capuleti, l’aria “Casta diva” (e il mesto applauso del pubblico ha dato la risposta…) , concludendo (non brillantemente poiché non è brano da cantarsi per voce femminile: se si pensa che fu intonato da’ soldati durante la grande guerra or sono cento anni e fece cessare le pallottole anche da parte austriaca, ammaliati i “crucchi” dalle calde parole d’amore del catanese Formisano…) con “E vui durmiti ancora”.   Alcuni passaggi, come la genesi della SCAM (il direttore artistico è oggi la brava collega Anna Rita Fontana) e l’albo d’Oro dei premiati (personalmente ne ricordiamo almeno cinque lustri, ove applaudimmo da Franco Corelli a Pippo Di Stefano…) andavano forse meglio illustrati che non passare i brani registrati, ma nel complesso la serata si svolse positivamente, sul filo sottotraccia dei ricordi.

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Pubblico di appassionati e interessati (tra cui clubs Rotary, Kiwanis e Ordini Dinastici della Real Casa di Savoja), anche se poteva sperarsi più concorso di gente ( i tempi delle folle oceaniche forse sono tramontati per sempre) ha fatto da degna corona al genetliaco di un premio importante che rimane tra le ormai poche pagine di amore “per le cose belle” (avrebbe detto il pittore Alessandro Abate) della nostra città: quell’amore che, come l’Amenano, onnipresente sorge migliore dalle ceneri e dai misteri della terra, del fuoco e dell’aria; quel sentimento che sfiora le dita o lo sguardo e (per dirla con Tosti) “se parla, una ebbrezza assale…” è la linfa vitale dell’animo catanese, che fu tanto cara al Cigno rapito nelle brume parigine, “si presto estinto, o fiore”.

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